giovedì 18 gennaio 2007

Be my Baby - Il momento serio dell'Almost


Stamattina, com'è consuetudine ogni settimana, ho fatto la mia brava lezione in una piccola scuola elementare.
Lo faccio per arrotondare.
Lo faccio perché adoro insegnare.
Lo faccio perché adoro imparare. Soprattutto dai bambini.
Nonostante la frequenza dei miei mal di gola abbia subito un'impennata pazzesca da quando sono a contatto con questi nanerottoli, sono molto contenta di quello che faccio.
A volte penso che potrei anche mollare tutto e dedicarmi solo all'insegnamento.

E mentre ero là mi è venuto in mente un post di Nabladue, che ho abbondantemente commentato in questi giorni.
Parlava del bullismo.
Guardavo i "miei" bambini chiedendomi se qualcuno di loro un domani sarebbe finito bullo o vittima.



Nell'arco di questi anni di lavoro a scuola ho capito che si può imparare davvero molto dai bambini. Se non altro si possono apprendere due cose importantissime: la capacità di ascoltare e la possibilità imparare ad insegnare (e scusate il neccessario gioco di parole).

Mi spiego meglio.
Nessuno nasce educatore. C'è sicuramente chi è più portato e chi invece con i bimbi ha la dolcezza di un orco cannibale, ma il mestiere di educatore è qualcosa che si apprende.
Sicuramente studiare psicologia è utile.
La pedagogia è fondamentale.
Ma la scuola migliore è il contatto con i bambini.
Sono loro che ti dicono cosa devi fare e, soprattutto, come.
Attraverso sguardi, gesti, richieste dirette o malcelate, comportamenti, sorrisi e pianti non ti chiedono solo attenzione, aiuto, conforto.
Ti danno indicazioni anche sul come devi dargliele.
E in tutto questo  è fondamentale un enorme sforzo di attenzione, una lunga e difficile pratica di ascolto. Che io, ovviamente, non ho la presunzione di aver ancora appreso.
Il mio è un rozzo abozzo di pratica di insegnamento.

Ma ci provo.

In un paese come il nostro dove l'insegnamento è un mestiere sottovalutato, dove la tv è "cattiva maestra", dove troppo spesso sono anche i genitori a non capire chi sono i figli (e non gliene faccio troppo una colpa: non sono ancora madre, non posso comprendere la difficoltà di un simile "mestiere"), dove i teen ager - in una fase tanto delicata della loro vita - vengono considerati soprattuto dei consumatori, credo che provarci sia il minimo.
Come magari può aver fatto anche Nabla col suo comportamento: avvistati due bulletti è tornato a cercarli per sincerarsi che il loro attaccar briga con i più piccoli non fosse passato dalla parole ai fatti.
Ha svolto così una duplice funzione: quella di esempio da seguire e quella di garante.
Non è poco.

Concludo quindi con un episodio estratto giusto giusto dal commento al post sopracitato
"Giusto questa mattina ero sul bus. C'era una scolaresca di liceali in gita accompagnati da una professoressa. La quale, comodamente seduta, non ha assolutamente pensato di suggerire ad uno dei suoi studenti di alzarsi per lasciare il posto ad una vecchia signora che era in piedi.
Potrà inculcargli la matematica.
Potrà spiegargli la storia o la geografia.
Ma non credo che possa davvero insegnare nulla a dei giovani una così...
E se non gli insegnamo l'educazione e il rispetto poi cosa ci aspettiamo da questi ragazzi?"

Da ragazzina ero una ribelle, ma non una sconsiderata: in cuor mio avevo dei miei canoni per capire quali professori fossero all'altezza del loro compito. Quali fra loro, più degli altri, meritassero rispetto e ammirazione.

Cominciamo a muoverci nel mondo come se ogni bambino fosse il nostro. Come se ogni minuto, con ogni gesto, potessimo insegnare o imparare qualcosa. Perché poi, è così... vero?

Ok.
Arrivati al terzo momento serio di almost mi ritirerò dalla scena a furor di popolo.
Ma vi vorrò bene lo stesso.
Anche se avrete chiamato la neuro per farmi internare...

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