martedì 11 settembre 2007

A casa da mammà (il ritorno della guida di sopravvivenza pre trentenni...)

Ma come si dice: mal comune...

A 28 anni mi sono trovata a dover far rientrare un appartamento di 65 metri quadri in una stanza di 16. Dopo una convivenza finita, ho dovuto fare i conti con la mancanza cronica di spazio.

I cassetti esplodono, la scrivania straripa e mi sto sfasciando le rotule a forza di fare pressione sulle ante per chiudere l’armadio.
Appunti universitari, documenti, fogliacci della banca (latori di funeere notizie), carte di lavoro.
Accanto alle mie mutande, nel guardaroba, c’è l’intero assortimento di un punto vendita Buffetti di medie dimensioni.

La vita del trentenne a casa dei genitori si può definire in una sola parola: compressa.
La mia vita al momento è compressa (oltre che complessa).


Sotto al letto, da ragazzina, tenevo quella che chiamavo la “scatola dei ricordi”. Un contenitore in plastica di medie dimensioni dentro cui avevo stipato lettere, ciondoli e pezzetti di carta apparentemente insignificanti ma, per me, di inestimabile valore.

Adesso la scatola ha triplicato le sue dimensioni e ha finito col fare compagnia ad un servizio di piatti, un vaso, delle lenzuola e dei quadri che io e il mio ex convivente tenevamo in casa.
Ringraziando il cielo i mobili del mio ex appartamento sono stati equamente spartiti tra tutto il parentado: mia nonna s’è presa il divano del salotto. Strano che se lo sia accattato e che non le sia venuto il dubbio che su quel divano di giovani piccioncini possa essere successo qualcosa di inenarrabile. Probabilmente l’idea non le ha nemmeno sfiorato il cervello: altrimenti avrebbe già chiamato la disinfestazione e il prete per farlo benedire.

Che tu abbia provato a costruirti una vita fuori casa o meno, ti sentirai sempre e comunque in uno stato di compressione. Le cose, le idee, i sentimenti, ti sembreranno troppo stretti nella tua stanza dove, sul muro, si intravedono ancora i segni delle puntine che tenevano su il poster di Madonna.

I “grandi” – così li definiamo ancora, senza renderci conto che i grandi siamo noi – ci accusano di “non volercene andare”. Di voler restare a casa, perché è comodo tornare la sera e trovare il sugo pronto.

Credetemi: ho fatto ambedue le vite. Mi svegliavo alle sei e mezzo per stirare e rassettare la cucina prima di andare a lavorare. Ed ero felice di andare a fare la spesa. Non c’era sugo di mamma che potesse ripagarmi per questa faticosa libertà appena conquistata.

Potrà sembrarvi assurdo, ma anche la spesa al supermercato è un momento di affermazione della propria indipendenza e libertà di scelta. Un lusso per molti miei coetanei.

E poi in commercio c’è una varietà di condimenti e piatti pronti da far paura. Perciò il discorso del sugo di mammà non regge.
Altrimenti questo sarebbe il prezzo della libertà: 2.99 euro in offerta prova. Come le zuppe surgelate.

La verità, in realtà, è una notizia trita e ritrita, che galleggia da anni sulle pagine dei giornali evidente, eppure, invisibile.
La verità è che vorremmo e proprio non possiamo.

Nella città in cui vivo io, pagarsi l’affitto da soli è impensabile. Perfino per un plurilaureato.

Secondo me presto ci sarà un’inversione di tendenza: torneremo ai tempi in cui ci si sposava per andarsene di casa.

Anzi se qualcuno volesse farsi avanti, ho delle ottime referenze come casalinga – lavoratrice........

1 commento:

  1. interessante. Ma perché semplicemente non starsene bene insieme con gli amati genitori? forse ché non sono tanto amati. Ma per chi li ha persi è diverso..anche se prima non andava d'accordo. Sarà che sogno ancora una vita colorata. Dove vivo c'è posto almeno per due famiglie ma quando si parla di responsabilità... è tutto molto nebuloso e si finisce (o meglio, si torna) ciascuno a casa propria. Almeno nel mio caso non si tratta di un ritorno. E sia. La sostanza però non muta..

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